Le fantastiche avventure di Grimmo nel mondo della panificazione

[V]oi ancora non lo sapete, ma da qualche mese ho iniziato a cimentarmi nell’arte bianca, quella della panificazione e della lievitazione.

La pagnotta altamura prima di essere infornata

La pagnotta altamura prima di essere infornata

M’interessava in particolare il lievito madre, forse perché il dover prendersene cura in maniera costante e le lunghe attese sono un pò una metafora della gravidanza? Può darsi..

Detto fatto, ho iniziato seguendo la ricetta di Cuoca Petulante e usando la farina integrale del Gas e la Manitoba del supermercato ho creato questo miscuglio acido. Come attivatore ho usato il miele millefiori, sempre del Gas, non è la soluzione migliore ma il barattolo era già aperto..

Dopo la prima settimana, il lievito avrebbe dovuto raddoppiare di volume ogni tre ore circa, invece si limitava a gonfiarsi fino ad un tot per poi fermarsi e non dare altri segni di vita. NonostateIl piccolo mugnaio nerd le perplessità sono andato avanti per settimane, continuando a fare rinfreschi più o meno ogni due giorni. Settimane nelle quali schizzi di pasta madre hanno conquistato oltre al pavimento della cucina anche i miei vestiti, i pensili e incrostato stracci, coperte in pile e svariate ciotole di vetro. Il forno, poi, che in tutti questi giorni ha funto da cuccia per la pasta madre, si è impregnato di un tanfo inquietante..

Poi ho iniziato a seguire la ricetta di FrancescaV, c’è stato qualche miglioramento ma niente di esaltante. Tuttavia dopo quasi un mese di tentativi dovevo decidermi a utilizzare il lievito anche per cucinare qualcosa e non limitarmi a badare ad una versione salutistica di un tamagotchi. Così ho creato una pasta madre di semola partendo dalla pasta madre iniziale, una sorta di biga, da cui poi iniziare l’impasto di una pagnotta di grano duro in stile Altamura, secondo la ricetta trovata sul forum di cookaround.

La pagnotta di tipo altamura

La pagnotta di tipo altamura

Il pane pronto per essere infonato aveva un aspetto magnifico e tutto lasciava presagire un successo.. ma la mia apprensione per la buona cottura e una crosta croccante deve aver compromesso la buona riuscita dell’opera. Il pane è rimasto a cuocere per quasi un’ora, al termine della quale l’aspetto era ottimo ma era chiaro che qualcosa non andava: La lievitazione non era stata sufficiente, la pagnotta era piuttosto bassina e sopratutto nel giro di poche ore è diventata durissima! Peccato, perché il sapore non era malaccio.

Messo da parte il lievito madre per un pò, con la scusa che a breve i miei sarebbero venuti a farci visita, ho iniziato a pensare quale pane avrei potuto realizzare per rifarmi della disfatta. E quale miglior rivalsa del pane di Palermo? Riuscire a fare il pane utilizzato per i panini con le panelle e quelli con la milza, la cosiddetta vastedda, mi avrebbe ridato sicuramente il buonumore. Ovviamente sbagliare una seconda volta avrebbe probabilmente segnato la fine dei miei tentativi con la panificazione. Fortunatamente non è andata così!

La ricetta che ho scelto è quella trovata su RicettediSicilia.net e diversamente da quella sul pane di altamura, in cui avevo fatto le proporzioni per dimezzare le dosi, l’ho seguita alla lettera. Questo significa che ho usato il lievito di birra e il malto. Quest’ultimo, d’orzo, recuperato appositamente da NaturaSì. Ho impastato vigorosamente per un’ora, bagnando e sporcando il tavolo della cucina a livelli mai raggiunti prima d’ora. Infornato per una quindicina di minuti, anzi, 17 per esser precisi, nel forno elettrico, in modalità statica a 240° C, il massimo possibile per il nostro modesto elettrodomestico.

Sono venute quattro belle pagnotte, di una morbidezza e un sapore, credetemi, commoventi. Anche mio padre, notoriamente schizzinoso in fatto di pane è rimasto molto soddisfatto.

A questo punto i miei esperimenti di panificazione non possono che continuare!

La tipica vastedda palermitana

La tipica vastedda palermitana

La finta trippa e..

quei piatti che restano sepolti nelle fitte pieghe della memoria. Quelli che sono lì ad aspettarti da tempo immemorabile mentre la vita è andata avanti e tu hai assaggiato una miriade di altri sapori, abbinamenti, variazioni. Sono lì che aspettano solo che una scintilla li faccia tornare alla coscienza e la riempia di densa, dolce nostalgia per le persone che non ci sono più, per tua madre che quel piatto ti cucinava spesso ma chissà perchè avevi rimosso, lasciandolo a decantare per troppo tempo.

Questo è quello che mi è successo qualche tempo fa, quando, guardando la trasmissione di Alessandro Borghese su Real Time, lui ha tirato fuori dal cilindro della mia memoria questo piatto: la finta trippa. Ho detto, oddio, ma questo piatto me lo faceva sempre mia mamma! Perchè diavolo l’ho rimosso così drasticamente? E così quasi con le lacrime agli occhi mi sono ricordata di quante volte l’avessi mangiato e mi sono ripromessa di farlo assaggiare a Luigi che non lo conosceva. Ovviamente non avevo mai seguito mamma nel procedimento, quindi per la ricetta, le dosi etc. mi sono riferita a quella trovata sul sito di Real Time.

E come una novella Proust nella sua “Recherche du temps perdu”, riassaporando questo piatto casalingo mi sono sentita vicina per un momento ai miei cari. Questo è uno dei grandi poteri che la cucina sa evocare.

E dopo il rosso..

del gelo di mellone, il bianco candido di un altro dolce siculo: il Biancomangiare. Ovviamente da abruzzese, prima di conoscere mio marito, non avevo mai sentito nominare questo dolce. Luigi me ne parla da anni e visto che nelle pasticcerie siciliane non si trova, abbiamo deciso quest’estate di provare a farlo! Praticamente hanno fatto tutto Luigi e mia suocera..ehm io ultimamente come avrete notato non ho tanta voglia di mettermi a spignattare e a fare esperimenti! Avrei solo voglia di sedermi, farmi servire e mangiare sempre cose buone!! 😉

E quale può essere secondo voi l’ingrediente principe di questo dolce visto che siamo in Sicilia? Eddai è facile! Le mandorle, o per meglio dire il latte di mandorle!! La ricetta che abbiamo seguito è quella che abbiamo trovato su GialloZafferano e la trovate qui. Fate conto però che noi abbiamo dimezzato le dosi.

Per prepararlo ci siamo serviti di potentissimi accessori tecnologici ad esempio per montare la panna…

Avete visto che frullino manuale spettacolare? Avrei voluto riportarmelo su a Milano, ma il suo posto è lì nella casa al mare a San Vito. Il suo dovere l’ha fatto egregiamente!

Ed ecco invece il dolce finito dall’alto con la sua spolverata di pistacchi tritati a dare un pò di colore 🙂

A Luigi e alla sua famiglia è piaciuto tantissimo, mentre a me…voglio essere sincera, non ha entusiasmato! Preferisco nettamente altri dolci siculi che però in casa sono molto più difficili da riprodurre! L’importante è fare felice il maritino per una volta!

Gelo di Mellone della Nonna Laura

Questa ricetta è per me legata ai ricordi d’infanzia: mia nonna la preparava praticamente tutte le estati non appena le angurie cominciavano a comparire sui banchi dei fruttivendoli. Ancora ripenso ai pomeriggi passati a guardarla mentre filtrava i pezzi di anguria nel passapomodoro.. la mia testa che sporgeva appena sopra il tavolo della cucina, in attesa che le sue mani rugose mi allungassero qualche pezzetto durante la preparazione.

Da quando lei è mancata questa era la prima volta che “facevamo il gelo” e ho voluto avere tutti gli ingredienti che usava lei, in particolar modo la “zuccata” che sarebbe zucca candita e il gelsomino. Quest’ultimo in particolare mi ha fatto penare: speravo di trovare a Milano un pò di essenza di gelsomino per uso alimentare, macchè: L’essenza di gelsomino, commestibile, a Milano non esiste. A nulla è valso telefonare a due grandi aromifici lombardi.. avran pensato che ero matto! Naturalmente avrei potuto comprare una piantina di gelsomino e usare i fiori, ma dovendo partire per la Sicilia entro pochi giorni sapevo che al ritorno l’avrei trovata stecchita. Poi c’era sempre il problema della zuccata: a Palermo la vendono in qualsiasi supermercato, ma a Milano..

Così abbiamo aspettato di andare in Sicilia per realizzarla. Mio nonno ci ha regalato un pò di fiori di gelsomino dalla pianta che tiene sul balcone, la stessa che usava mia nonna, che abbiamo integrato con altri fiori di gelsomino rubacchiati dalle piante per le strade di San Vito Lo Capo da mamma e Francesca. Una volta raccolti abbastanza fiori, li abbiamo lavati e lasciati a macerare in una tazza piena d’acqua per una notte. Non sappiamo se questo sia il procedimento migliore per ottenere l’essenza di gelsomino, ma le ricette lasciate da mia nonna non dicevano altro e abbiamo dovuto improvvisare un pò.

La ricetta originale della nonna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa è una delle tante versioni della ricetta, come vedete non si parla nemmeno del gelsomino, mia nonna era fatta così..

Noi invece abbiamo usato:

1,5 litri di succo di anguria

120 gr. di zucchero

110 gr. di amido

5gr. di vanillina

Una trentina di fiori di gelsomino

Zuccata q.b.

Per decorare:

Cannella q.b.

Gocce di cioccolato q.b.

Granella di Pistacchio q.b.

L’anguria che abbiamo comprato era dolcissima per cui abbiamo ridotto al minimo la quantità di zucchero nella ricetta.

Per prima cosa bisogna tagliare a pezzi l’anguria, togliere la maggior parte dei semi e passare l’anguria nel passapomodoro, perché frullandola nel frullatore si rischierebbe di tritare eventuali semi rimasti e rimarrebbe da spremere il succo dalla polpa. Alla fine dovreste ritrovarvi con un bicchierozzo pieno di nettare degli Dei, molto simile a questo:

Nettare degli Dei

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Versate il succo di anguria in una casseruola e aggiungete pochissima essenza di gelsomino, dopo aver tolto i fiori.

Essenza di gelsomino casereccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima di accendere il fuoco, tagliate la zuccata a cubetti e preparate gli stampi o le coppette dove poi verserete il composto, perché dopo non ci sarà il tempo di farlo. Noi abbiamo messo sul fondo qualche goccia di cioccolato fondente, per dare l’idea dei semi di anguria.

Aggiungete lo zucchero e accendete il fuoco, mantenendolo molto basso e iniziate a mescolare. Aggiungete la vanillina e l’amido poco alla volta, setacciandoli. Il liquido color rosso intenso diveterà rosa entro pochi secondi, iniziando ad addensarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciate andare sul fuoco per una decina di minuti, continuando a mescolare e facendo sempre attenzione a non far attaccare sul fondo il composto. Prima di toglierlo dal fuoco aggiungete un pò di zuccata tagliata a cubetti. La zuccata può piacere o meno, pertanto regolatevi di conseguenza, potete sempre non metterla.

La zuccata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Togliete la casseruola dal fuoco e versate negli stampi che avete preparato prima. Il tutto inizierà ad addensarsi in pochi attimi. Se vi piace potete far cadere ancora qualche goccia di cioccolato nel gelo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciate raffreddare le coppette e poi mettetele in frigo per 3-4 ore, il gelo va servito rigorosamente freddo. Prima di servirlo, decorate la superficie con della granella di pistacchio, una spolverata di cannella e volendo qualche altra goccia di cioccolato fondente. Potendo, mettete qualche fiore di gelsomino, noi purtroppo li avevamo finiti e con Francesca abbiamo deciso di accostare un fiore di Ibiscus preso dal giardino di casa dei miei nonni.

Voilà!

Il gelo di mellone

Prima di partire per un lungo viaggio

che in realtà tanto lungo non è 😉  mi ritrovo qui davanti a pensare a qualcosa da scrivere per rendere l’idea di quello che mi sta capitando e che mi tiene lontana da queste pagine..Mio marito è un vulcano di idee, mi propone piatti nuovi, vorrebbe che continuamente io stessi lì a cucinare, postare, scrivere…ma io davvero non ne ho la forza, non ne ho la voglia, non so neanche come definirla.

Il mio corpo mi ordina altro. Sono pervasa da una sorta di inerzia che forse mi è richiesta in vista di questa nuova vita che sta per nascere e che assorbirà tutte le mie forze in futuro. Boh forse chissà quando il piccolo/piccola nascerà mi tornerà la voglia di scrivere, sperimentare, fare…forse chissà. Forse questo blog lo proseguirà mio marito, postando i piatti che realizzo ma che non ho voglia di postare. Come dico sempre la palla di vetro non l’hanno ancora inventata e quindi tutto ciò rimane ancora avvolto nel mistero e nel dubbio. Lo so sto parlando a vanvera…chissà gli ormoni mi portano a divagare su argomenti senza senso.

Ah dimenticavo, il lungo viaggio (10 giorni eh eh) comincia domani e ci porterà in Sicilia. Sperando non mi venga un coccolone in volo, di non trovare troppo caldo giù e di poter godere del sole e del mare di questa bella terra. Vi lascio con questo sfincione fatto qualche giorno fa per immergerci nell’atmosfera culinaria palermitana. Abbiamo seguito la ricetta di Claudia. In cottura la base è venuta un pò croccante mentre il sopra morbido come dovrebbe essere: sicuramente per colpa nostra non siamo riusciti ad impastare come si deve. Comunque il sapore era ottimo e vi assicuro  che riscaldato il giorno dopo era perfetto! Claudia rimane sempre una garanzia! 🙂

Auguro a tutti delle serene vacanze 🙂

 

L’essenza indivisibile diventa tripla

L’essenza di questo blog fino a qualche mese fa era quella rappresentata dalla mia duale, contraddittoria identità raccontata nella poesia che da il nome al mio blog e completata da quella di mio marito che conosce la mia essenza come nessun’altro e che la rende perfetta, unica, incredibile. Dall’unione di queste due essenze da quattro mesi ormai, è scaturito il frutto più bello….   🙂

Ecco perchè sono stata latitante, perchè in questi 4 mesi siamo stati travolti da un turbine di emozioni, sensazioni, cose da fare, visite, ansie piccole e grandi che ancora non hanno smesso di farci roteare all’impazzata senza farci capire che diavolo ci sta per capitare tra capo e collo! 🙂

In tutto ciò siamo anche riusciti a farci una settimana di vacanza in Spagna a Palma di Maiorca. Un posto meraviglioso che ci è rimasto nel cuore e nel quale siamo riusciti a rilassarci  completamente e a ritemprarci per benino! Lo dimostra il fatto che non volevamo più tornare! Dal punto di vista culinario purtroppo molti cibi mi erano preclusi con mio grande tormento! Uno dei piatti che più ho bramato (oltre ai frutti di mare, cozze in primis), è stato il Pa amb oli, un piatto semplicissimo tipico delle Baleari che consiste in fette di pane cosparse con ottima salsa di pomodoro fresco, olio, sale, accompagnate da olive e a piacere da fette di Jamon Serrano, formaggi vari etc. Un NON piatto che risulta facilissimo da fare in casa, ma che vi assicuro per me è stato tremendo non poter mangiare, vista la mia passione smodata per il pane e pomodoro. Luigi lo assaporava e io sbavavo!!

Tornati a Milano Luigi una sera mi ha fatto la sopresa di rifarmi il Pa amb oli, ovviamente con pomodori lavati benissimo, senza prosciutto crudo, ma con un ottimo formaggio sardo come accompagnamento! Il trucchetto di Luigi è stato quello di frullare la polpa di pomodoro insieme ad un pezzetto di peperone rosso che gli ha dato un gusto veramente buono! 🙂

Visto così sembra un semplice pane, pomodoro e formaggio, ma vi assicuro che niente come i gusti più semplici e che magari ti riportano all’infanzia sanno riempirti il palato e il cuore! 🙂

Di seguito vi lascio con 3 suggestioni del nostro viaggio 🙂

Uno degli innumerevoli tramonti sulla splendida spiaggia di Ciutat Jardìn: la zona di Maiorca in cui abbiamo alloggiato.

L’incanto delle tavolate sulla spiaggia che i Maiorchini sono maestri nell’organizzare. Uno spettacolo mai visto di unione familiare e  convivialità che infondeva serenità e gioia al solo guardarle.

E infine il sapore antico dei giochi sulla spiaggia..e come ha detto Luigi fotografando questi ragazzi: sembra la Sicilia di un tempo! 🙂

“Parmigiana” svuota frigo per foodbloggers sfaticate

In questo periodo il solo pensiero di mettermi a friggere mi crea problemi, tra il caldo e la puzza che si spande per la cucina è l’ultima idea culinaria che mi può venire in mente. La versione light delle melanzane fritte contempla invece una passata sulla piastra di ghisa: sopportabile direi!

Mumble mumble: e se invece di mettere la solita mozzarella provassi con uno stracchino ammiccante nel frigo da un pò? Detto fatto: melanzane grigliate. Sugo veloce veloce fatto con mezzo barattolo di passata bio e una decina di pomodorini. Prima ho fatto andare i pomodorini nel soffritto di  cipolla e poi ho aggiunto la passata, una bella manciata di basilico fresco spezzettato e una spolverata di origano. Cottura più o meno dieci minuti.

La parmigiana l’ho composta in maniera tradizionale: sugo, strato di melanzane grigliate, sugo, abbondante parmigiano grattugiato, tocchetti di stracchino e così via fino ad ingredienti ultimati. Una passata in forno a 200 °C per dieci minuti e il gioco è fatto. Era strabuona! Il sugo dolcissimo, merito del pomodoro, non mio, e dello stracchino che è stato veramente una sopresa! Il cestino di parmigiano che vedete nella foto è invece opera di mio marito, che ha voluto dare quel tocco in più al piatto, di per sè molto facile e veloce.

Sua maestà il pomodoro

Concordo assolutamente con la definizione data dal blog Cucinando con mia sorella che ha lanciato il contest sul pomodoro in collaborazione con Mutti. D’estate se fosse per me mangerei sempre pane e pomodoro, un piatto povero antico che mi ricorda la mia infanzia. Quei meravigliosi cuori di bue che mio padre comprava strusciati su ottimo pane e conditi con ottimo olio evo e sale: assolutamente da leccarsi i baffi. Quando siamo andati in Spagna con mia grande meraviglia e ammirazione per questo popolo mi sono ritrovata a gustare  pane e pomodoro ad ogni pasto, una passione degli iberici che non conoscevo!

Oppure le uova cotte nel sughetto di pomodoro che preparava mia madre, o le polpette al sugo, o l’insalata di pomodoro, tonno, cipollotto fresco e quant’altro vogliate aggiungerci!! Le preparazioni a base di pomodoro sono infinite visto che su questo ortaggio si basa buona parte dell’alimentazione mediterranea.

Per questo contest ho pensato ad un piatto semplice: un bel piatto di pasta con sugo fresco di pomodorini valpolicella, basilico fresco e quartirolo lombardo.

Ricetta per due persone:

  • 160 gr. di spaghetti
  • 10 pomodorini valpolicella
  • olio evo, sale e pepe
  • mezza cipolla media
  • 2 fette di formaggio quartirolo
  • parmigiano grattugiato

Spellate i pomodori se molto maturi prima della cottura (io ho fatto così) oppure sbollentateli rapidamente in modo da poter eliminare la buccia senza problemi. Tagliate i pomodorini a pezzetti e tenete da parte. Fate soffriggere in una padella la mezza cipolla tritata in olio evo. Aggiungete i pomodori e fate andare a fuoco vivace. Salate, aggiungete alcune foglie di basilico fresco ridotte a pezzi grandi. In ultimo sbriciolate le fette di quartirolo e continuate la cottura finchè il formaggio non si sia parzialmente sciolto nel sugo. Scolate la pasta e fatela saltare rapidamente nel sughetto di pomodoro. Impiattate e irrorate con un filo di olio evo a crudo. Guarnite con basilico fresco e a piacere aggiungete una grattugiata di parmigiano.

À la recherche du temps perdu

In un piovoso pomeriggio di Giugno come quello di oggi, l’ideale sarebbe potersi rifugiare in una sala da thè, un pò nascosta ma calda e accogliente come l’Heure Gourmande di Parigi, dove siamo stati ad Aprile dell’anno scorso. Era il nostro primo viaggio a Parigi e questa sala da thè ci appariva come un luogo caldo e rassicurante per ripararci dal gelo e dagli acquazzoni di un inverno non ancora finito. Davanti ad una bollente tazza di thè verde alla menta e a dolci come la tarte au chocolat amer o le classiche madeleine ci rilassavamo e dimenticavamo la stanchezza e i piedi doloranti, complice anche l’estrema tranquillità del posto, dove tutti parlavano sottovoce.

 

Uno dei nostri pomeriggi a L'heure gourmande

 

Sia questa sala da thè, sia l’amore per il rito del thè ci sono stati suggeriti e tramandati dalla nostra amica Miriam. Quante volte siamo stati viziati da lei e dalle sue tavole imbandite, passando lunghi pomeriggi a chiaccherare tra fette di pane tostato spalmate di qualche paté e gli inebrianti profumi delle miscele scelte da lei.

 

La tavola imbandita da Miriam per i suoi mitici pomeriggi dedicati al thè

Forse per noi il thè è proprio questo: ritrovarsi a condividere le proprie storie con le persone a cui tieni di più, attorno alla teiera fumante e alle tazze in cui ci si specchia e ci si confronta a vicenda.

Con l’occasione del contest proposto da Tuki in collaborazione con Acilia: è sempre l’ora del tè, abbiamo voluto rendere omaggio a questa nobile pianta, alla nostra amica Miriam e alla sala da thé, proponendo una variante di madeleine arricchita da thè matcha, verdissima polvere profumata che inebria i sensi e li riporta indietro nel tempo, proprio come diceva Proust. Ovviamente le madelaine sono perfette per accompagnare una tazza di ottimo thè da sorseggiare lentamente,

La ricetta è tratta dal sito Giallo Zafferano e la trovate qui. Io ho dimezzato le dosi e fatto delle modifiche per trasformarle in madeleine al thè matcha.

Ingredienti per circa 8 madeleine grandi:

  • 50 gr. di zucchero
  • 60 gr. di farina
  • 3 cucchiai di latte
  • 1 cucchiaino raso di thè matcha
  • 4 gr. di lievito chimico in polvere
  • 1 pizzico di sale
  • 50 gr. di burro
  • 1 uovo medio
Setacciate in una ciotola la farina con lo zucchero e il lievito; mescolate con una frusta per amalgamare bene le polveri. Fate fondere al microonde il burro e tenete da parte. Sbattete l’uovo con il latte (circa 3 cucchiai). Setacciate un cucchiaio di thè matcha e unitelo agli ingredienti liquidi facendo in modo che si sciolga per bene. Aggiungetelo al composto di farina, mescolate con la frusta e aggiungete anche il burro fuso. Mescolate bene e se necessario aggiungete ancora poco latte; il composto deve risultare morbido e colloso, ma non troppo liquido; coprite con pellicola per alimenti e ponete a riposare in frigo per almeno 30 minuti.
Trascorso questo tempo, imburrate e infarinate uno stampo da madeleine (se lo avete), io ho usato delle vaschettine in alluminio per madeleine. Accendete il forno a 200°. Prelevate il composto dal frigo e con l’aiuto di due cucchiai versate un pò di composto in ogni incavo dello stampo  e infornate. Cuocete a 200° per i primi 10 minuti, abbassate il forno a 180° e proseguite la cottura per altri 10 minuti circa, fino a che le madeleine non saranno dorate. Togliete dal forno e lasciate freddare nello stampo qualche minuto e poi ponete su una gratella per dolci a finire di raffreddare.

Le nostre madeleine al matcha

Vi lasciamo con un piccolo aneddoto, che ci ha raccontato proprio Miriam e che sottolinea come in passato ci fosse un’attenzione quasi maniacale per il rito del thè che doveva essere in tutto e per tutto perfetto. Il racconto è di Cecil Roth, uno storico e insegnante inglese nato nel 1899:
“Recentemente sono stato ospite del barone Alfred de Rothschild
nel suo palazzo di Seamore Place.
Il mattino, di buon’ora, un servitore in livrea è entrato nella mia stanza spingendo un enorme carrello e mi ha chiesto:
– Il signore desidera del tè o una pesca?
Io ho scelto il tè; ed ecco la seconda domanda:
– Cina, India o Ceylon, signore
Mi sono deciso per il tè indiano e lui ha continuato:
– Con latte, limone o panna?
Ho optato per il latte, ma quello ha voluto sapere anche la razza della vacca:
– Jersey, Hereford o Sorthorn, signore?
Non ho mai bevuto un tè migliore!”

I biscotti di grimmo insonne

Capitano delle notti in cui il pensiero delle disgrazie che colpiscono chi ti è vicino ti tiene sveglio. E allora,che altro puoi fare? Ti alzi e scrivi. Butti giù pensieri, riflessioni, ricordi. Svuoti tutto e aspetti le prime luci dell’alba. E quando hai finito e tua moglie sta ancora dormendo, ti viene in mente che potresti farle trovare un dolce appena sfornato per colazione. Così afferri “Buon appetito America!” che è proprio lì in bella mostra sul tavolo della cucina e inizi a sfogliarlo, alla ricerca di una golosità che sia realizzabile con quello che c’è in casa e nel poco tempo a disposizione prima che la sveglia suoni e la giornata abbia ufficialmente inizio.

Lo sguardo cade sui cocoa cookies: tempo di cottura 8 minuti, cacao, farina,  burro, uova.. c’è tutto.
Inizio a versare la farina e il cacao in una casseruola, ma sfortunatamente Francesca si alza prima del previsto, trova la cucina in piena attività e non la prende troppo bene. Mi fa notare nell’ordine che:

  • il burro andava prima fatto ammorbidire a temperatura ambiente ed è troppo tardi per farlo
  • lo zucchero non andava insieme alla farina e al cacao ma insieme alle uova e al burro
  • nella ricetta c’è scritto chiaramente che l’impasto deve riposare almeno un’ora in frigo prima di essere infornato

Ecco, da buon informatico e da marito distratto avrei preferito che un dettaglio come quello di dover lasciar riposare l’impasto un’ora, fosse stato scritto in grassetto e in rosso, oppure che ci fosse stato il tempo di preparazione delle varie ricette. Laurel, sarebbe fattibile nella prossima edizione? 😉 Ma ormai è troppo tardi, non si può più separare lo zucchero dalla farina e decidiamo di proseguire. Il risultato non è dei migliori, c’è un momento di empasse, Francesca mi guarda severa e io fisso silenziosamente i pezzi di burro galleggiare nel tuorlo senza la minima intenzione di fondersi assieme. Che fare? Buttare via tutto e andare al lavoro o cercare di aggiustare le cose? Francesca abbandona la cucina e io tento un salvataggio in extremis, aggiungendo gradualmente gli ingredienti secchi alle uova e al burro. Impasto a mani nude, in preda allo sconforto e.. sembra funzionare! La chimica fa ancora una volta il suo miracolo e quello che era un’accozzaglia di ingredienti si trasforma nell’impasto dei biscotti. Unisco a poco a poco il resto degli ingredienti secchi e formo un bell’ammasso di pasta, che poi avvolgeremo nella pellicola trasparente, lasciandolo in frigo a riposare con il proposito di riprendere il tutto al ritorno dall’ufficio.

Questo è l’elenco degli ingredienti tratto dalla ricetta del libro:

275g di farina
90g di cacao
1 cucchiaino di bicarbonato di sodio
1 pizzico di sale
270g di burro
400g di zucchero, più un pò per decorare
2 uova grandi
1 cucchiaino di essenza di vaniglia

Alla fine della giornata tiriamo fuori l’impasto dal frigo. Si è un pò indurito essendo rimasto lì per circa 8 ore, ma dopo averlo lasciato a temperatura ambiente per un pò riusciamo ad impastare agevolmente le palline e stenderle sopra la carta da forno nella teglia. Saltiamo il passaggio in cui è previsto di rotolare prima le palline nello zucchero, i 400g già presenti nell’impasto ci sembrano più che sufficienti. Inforniamo e dopo una decina di minuti questo è il delizioso risultato: